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Mio intervento in commissione affari costituzionali sulla revisione costituzionale

Presidente, Colleghi,
Nel rispetto della divisione dei poteri la Costituzione, all'articolo 70, assegna la iniziativa legislativa al Parlamento. E' anche vero che la iniziativa legislativa può essere in capo anche al Governo ma, in maniera eccezionale (decreto legge) e comunque per delega del Parlamento stesso. Di questo tratta l'articolo 76.
La modifica della Parte II qui proposta non può e non deve rappresentare una eccezione.
La revisione della Costituzione è un tema particolarmente importante e come sappiamo la Costituzione stessa ha previsto dei meccanismi di protezione per evitarne stravolgimenti e manomissioni.
Ad esempio, la Costituzione ha previsto addirittura il referendum per avere conferma da parte dei cittadini delle revisioni costituzionali. Questo a dimostrazione dell'importanza delle revisioni costituzionali e nonostante la scarsa attenzione da parte della Costituzione stessa agli strumenti di democrazia diretta quale può essere considerato il referendum.

Detto questo e pur riconoscendo a questo Governo una legittima volontà di revisione della Costituzione ritengo che il testo base di riferimento deve essere non certo quello governativo ma uno di iniziativa parlamentare. Il Governo sia solo di stimolo per una revisione costituzionale.
Da notizie di stampa odierne, sappiamo di un impegno del Governo ad approvare un testo entro il prossimo 25 maggio. Impegno preso in sede europea ma che non può e non deve influenzare i nostri tempi parlamentari.
Addirittura il Governo (e non la sua maggioranza) impone paletti e vincoli in modo che ritengo inopportuno. Mi auguro che queste indicazioni siano prese per quello che sono: semplici auspici di indirizzo che il Parlamento può liberamente considerare o rigettare.
Ho sottoscritto due disegni di legge di iniziativa parlamentare: il primo 1355 a prima firma Campanella e il secondo 1420 a prima firma Chiti. 
Il punto di unione di entrambi questi ddl è la eleggibilità dei futuri senatori da parte dei cittadini. 
In un momento di progressivo allontanamento dei cittadini dalle vicende politiche che si manifesta nel continuo aumento dell'astensionismo è indispensabile mantenere questo legame fra elettori e propri rappresentanti eletti. Il ddl 1429 di iniziativa governativa va invece in senso opposto.
Nella attuale Carta costituzionale il Senato viene eletto su base regionale e il legame fra l'eletto e il proprio territorio va valorizzato e favorito. Nel testo governativo questo legame viene favorito facendo coincidere alcuni eletti in Regione e in alcuni Comuni direttamente coi senatori.
Non ritengo sia una soluzione efficace per una serie di ragioni:
logistiche: la presenza a Roma dei senatori-consiglieri o senatori-sindaci sarebbe limitata a pochissimi giorni al mese;
operative: l'impegno in Regione o in Comune è generalmente a tempo pieno e il necessario momento di analisi e approfondimento sarebbe impossibile;
economiche: la giusta necessità di contenere i costi del nuovo Senato porterebbe i neo-senatori a non potersi dotare di collaboratori parlamentari difficilmente sostituibili con i loro attuali collaboratori che hanno altre competenze (legate alla attività di sindaco). La attività legislativa dei futuri senatori ne risulterebbe compromessa.
Ritengo più corretto che i senatori si raccordino con i consigli regionali delle loro regioni di appartenenza in maniera strutturata. Attualmente questo legame fra senatori e le istituzioni del loro territorio di origine è inesistente o meglio lasciato alla iniziativa del singolo senatore. 
Si potrebbe piuttosto ipotizzare che i senatori di una regione diventino automaticamente Consiglieri Regionali di quella regione in modo da rappresentare la Regione sia in Senato sia in Regione.

Altro tema in discussione e oggetto di dibattito è la composizione in termini numerici del futuro Parlamento. Attualmente, nei due rami del Parlamento siedono 950 fra deputati e senatori. Il disegno di legge a prima firma Campanella prevede la riduzione a 250 deputati e 250 senatori. In totale si tratterebbe di 500 parlamentari con una riduzione di circa un terzo. Ben più drastica la riduzione prevista dal ddl a prima firma Chiti che porta a 315 deputati e 106 senatori la composizione del futuro Parlamento. 
In epoca di spending review e con l'obiettivo dichiarato di risparmiare un miliardo di euro con questa revisione costituzionale sorprende che la proposta governativa mantenga un numero elevato di parlamentari ovvero 630 deputati e circa 140 senatori (il dato non è fisso considerando la possibilità da parte del Presidente della Repubblica di nominare, per sette anni, fino a 21 senatori). Si tratta di ben 770 parlamentari dei quali solo una piccola parte (i 140 senatori) sarebbero parlamentari a basso costo (non zero in quanto li andranno riconosciute spese vive di vitto, alloggio e trasporto da e per Roma). 
Nella “nota breve” qui in distribuzione si legge che in Italia il numero di parlamentari ogni 100mila abitanti è praticamente in linea con gli altri paesi europei ovvero 1,6 parlamentari ogni 100mila abitanti. In Germania il rapporto è invece 0,9 ed è il caso diciamo più virtuoso. Se usassimo questo valore per calcolare il numero di parlamentari italiani avremo 537 parlamentari totali.
Questo valore è molto più vicino ai 500 del ddl Campanella e ai 421 del ddl Chiti.

Altro punto controverso è il superamento o meno del bicameralismo perfetto o paritario. Questo sistema è stato negli anni croce e delizia della politica italiana. 
Il doppio passaggio di un testo fra i due rami del Parlamento impone dei tempi che possono essere oggettivamente lunghi. In realtà non si tratta di un doppio passaggio ma spesso di più passaggi se consideriamo anche i doverosi passaggi in commissione essendo i ddl quasi sempre trattati in sede referente. L'ultimo esempio è il ddl sulle modifiche all'art.416ter del codice penale che è stato trattato alla Camera, poi al Senato, poi alla Camera e infine al Senato. Come dicevo in realtà si è fatta la discussione generale e il voto degli emendamenti ben 8 volte: Commissione e Aula per 4 volte. Totale 8 volte. 
Eppure gli strumenti per ridurre questi tempi il Parlamento già li ha o se ne potrebbe dotare modificando il Regolamento. Senza ridurre le prerogative del singolo parlamentare e quelle delle opposizioni ma qualcosa in tal senso si potrebbe fare evitando di far saltare un meccanismo, quello del passaggio fra le due Camere, ben noto e oliato.
Solo dopo aver chiari quali sono gli intoppi degli attuali regolamenti parlamentari che rallentano l'approvazione dei provvedimenti si dovrebbe mettere mano a tutto l'impianto. 
Non mi sembra ci sia stato uno sforzo in tal senso. Si sceglie invece ora lo stravolgimento di tutto senza una reale chiarezza di obiettivi. 
Si potrebbe prendere esempio anche dall'Unione Europea che prevede di fatto due rami del Parlamento: Parlamento Europeo (eletto dai cittadini) e Consiglio Europeo. In questo caso l'esame di un atto legislativo (proposto però solo dalla Commissione Europea) procede in parallelo in vista dell'appuntamento finale dove i tre attori in gioco (Commissione, Parlamento e Consiglio) concordano un testo finale nella fase del cosiddetto trilogo.
L'esame in parallelo, immagino, dello stesso testo potrebbe velocizzare l'esame di un ddl e in questo si potrebbero modificare i regolamenti parlamentari.

Nel disegno di legge 1429 si prevede una modifica all'articolo 70 della Costituzione dove si assegna la funzione legislativa a entrambe le Camere solo per leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali. Le altre leggi sono approvate solo dalla Camera. Questo a meno di una richiesta esplicita da parte del Senato di intervenire su un qualsiasi testo approvato. 
In questo caso, questo ddl 1429 si avventura in un dettaglio procedurale che meglio si adatta a un regolamento parlamentare e non sembra adatto a una Carta Costituzionale.
Riassumendo un testo approvato dalla Camera viene inviato immediatamente al Senato che entro 10 giorni decide di esaminarlo o meno. Se decide di esaminarlo allora entro 30 giorni propone modificazioni del testo. A questo punto entro 20 giorni approva o meno in via definitiva.
Non risulta espresso in questa procedura assorta a rango costituzionale cosa avviene se questi tempi non vengono rispettati. In particolare gli ultimi 20 giorni per la pronuncia definitiva della Camera qualora venissero superati cosa implicano? Non viene indicato in questo ddl. Il ritorno al testo originale della Camera o all'ultimo del Senato sul quale la Camera non si è espressa nei tempi previsti ovvero 20 giorni ? Immagino si potrebbe configurare un caso di silenzio-assenso e le modificazioni proposte dal Senato diventare efficaci in assenza del pronunciamento della Camera.
Ripeto, considero del tutto errato inserire questi dettagli procedurali in un testo costituzionale. 
Non ritengo inoltre un caso che i tempi dedicati all'eventuale modificazione del Senato sia proprio di 60 giorni che corrispondono ai tempi in vigore di conversione dei decreti legge. 
A parte questo punto, in generale, mi sembra che limitare così tanto l'attività dei futuri senatori (ricordo sindaci e consiglieri) non gli consenta neanche di fare quel lavoro di raccordo fra Stato e Regioni che pure il testo governativo, all'articolo 8, si prefigge.
Sembra infatti che si stia barattando la presenza fisica dei rappresentanti locali (sindaci e consiglieri) con una diminuzione delle materie e funzioni di esclusiva competenza regionale.
Di tutt'altro tenore il ddl a prima firma Campanella che prevede che la funzione legislativa sia esercitata in via esclusiva dal Senato nelle seguenti materie: 
a) rapporti con l’Unione europea e attuazione delle normative dell’Unione medesima; 
b) legislazione concorrente nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma; 
c) delegazione legislativa di cui all’articolo 76; 
d) ratifica dei trattati internazionali. 
In conclusione, il mio invito è usare come testo base il ddl a prima firma Campanella o in subordine quello a prima firma Chiti.

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